Certo le cose oggi sono molto semplici, se decidiamo di preparare in casa le tagliatelle o, più raramente, ma sempre oggi con maggior interesse, se decidiamo di preparare il pane nel forno casalingo. E’ sufficiente scendere al supermercato sotto casa e comperare un pacco di farina.
Ma quale farina? I pacchi ordinati che abbiamo davanti recano generalmente la dicitura “farina 00” ed è una farina polivalente. Solo le massaie più avvedute sanno che per preparare i tortellini, per i quali è prevista una sfoglia sottile ed elastica, funziona meglio la “farina 0”, mentre per confezionare cavatelli o fusilli, la migliore è la “semola di grano duro”, magari rimacinata. Ma, se la massaia davanti al bancone del prodotto ha un’età intorno ai vent’anni e provate a chiederle qual è la differenza tra le diverse farine, vi guarderebbe con l’aria di dire che poi, in fin dei conti, una farina vale l’altra! Sono rare quelle che chiedono l’impalpabile farina Manitoba da utilizzare per confezionare i dolci. Solo se sono proprio delle esperte arrivano perfino a sapere che questa farina, che oggi anche nelle cucine casalinghe ha sostituito la fecola di patate, ci arriva dall’omonima regione canadese del Manitoba. E stiamo naturalmente parlando della farina di grano, poiché il termine semplice di “farina”, a quella, oggi, intende generalmente riferirsi. Solo qualche decennio fa, a seconda del tipo di farina usata, avremmo potuto dire dove si stava preparando della pasta casalinga. Nelle depresse aree montane del Nord alla preziosa farina di grano si univa quella di castagne o quella di grano saraceno, oppure si macinavano l’orzo, il miglio, la segale. In casi di estrema penuria c’era chi tostava le ghiande prima di macinarle. Le cose non cambiavano molto se invece, della pasta si trattava di preparare l’irrinunciabile pane quotidiano.
La pagnotta di pane distribuita dai mercanti di campagna, in quel lontano 1832, per il pranzo dei lavoratori della terra, nella tenuta di Castel di Guido alle porte di Roma, provoca uno dei primi tumulti dei contadini di cui si abbia memoria, tanto che la polizia pontificia, chiamata a risolvere la questione, e incredula del fatto, nella sua relazione al Segretario di Stato, dice di ritenere la notizia “una vera fanfaluca”. Dai verbali conservati presso l’Archivio di Stato di Roma, apprendiamo che la pagnotta data dai contadini alla polizia perché verificasse quanto sostenuto, risulta un impasto di “grano vecchio, sassi tritati, terra e abbondante carbone” (sic!). Se non ci fossero i documenti ufficiali, saremmo noi, oggi, a ritenere la notizia una vera fanfaluca! Tuttavia, la storia ci ricorda che alti e bassi nella produzione cerealicola, con conseguenti riflessi sulla produzione del pane e della pasta, saranno per secoli presenti fino alla fine del secondo conflitto mondiale, quando con il piano Marshall e la ripresa dell’agricoltura si mette nel dimenticatoio il triste passato delle campagne. I buoi, che per millenni hanno aiutato l’agricoltore, sono ora sostituiti sul campo dagli enormi motocoltivatori, seminatori, falciatrici, trebbiatrici che solleveranno dalle fatiche i contadini e aumenteranno a dismisura la produzione per ettaro, rendendo pane e pasta finalmente alla portata di tutti.